Si ribalta completamente in appello la sentenza emessa dal tribunale di Ivrea del 18 luglio 2016 a riguardo del processo Olivetti in cui si vedevano condannati 14 dei 16 imputati per i reati di omicidio colposo e lesioni colpose aggravate, in relazione ai decessi e alle patologie contratte da undici ex lavoratori dipendenti di Olivetti e delle sue controllate, cagionati, in ipotesi d’accusa, dall’esposizione alle fibre di amianto subita dagli stessi negli anni di impiego presso gli stabilimenti di Ivrea della Società. La Corte d’Appello di Torino, presieduta da Flavia Nasi, quindi ha riformato la sentenza emessa dal Tribunale di Ivrea e ha assolto con formula piena “perché il fatto non sussiste“.
A far cadere le accuse è stata la controversia scientifica sul tema del cosiddetto “effetto acceleratore” nelle malattie provocate dall’amianto. “In pratica – spiega uno degli avvocati – il dirigente è considerato responsabile solo per i primi due anni di esposizione del lavoratore all’amianto. In questo caso De Benedetti è stato in carica a partire dal 1978 e i dipendenti erano stati colpiti dalla patologia in un periodo precedente. Se fosse accertata l’esistenza di un “effetto acceleratore” sarebbe diverso. Ma nella comunità scientifica non c’è un consenso unanime. E quindi la giurisprudenza non può tenerne conto”.
Il pg Carlo Maria Pellicano, uno dei 3 magistrati che hanno sostenuto la pubblica accusa, commenta: “Finché non saranno depositate le motivazioni non sapremo il perché di questa sentenza”. “Ma se emergeranno dei profili per l’impugnazione, la impugneremo. E daremo battaglia. Per ora siamo sull’1-1”.